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L’equipaggiamento aggiuntivo di Giuseppe Leone

E’ passato quasi un anno dal 30 gennaio 2020, dai primi due casi italiani di positivi al virus chiamato SARS- CoV-2 che diedero inizio alla pandemia. Tre settimane dopo si ebbero i primi decessi.

Un anno che per la vita di un adulto non è poi un periodo così lungo, rappresentando una frazione modesta dell’esistenza da noi vissuta, ma che tanto ci ha segnato.  Per il più piccolo dei miei nipoti, che farà due anni il 15 aprile, questi 12 mesi costituiscono la gran parte della sua vita eppure non si è accorto di nulla. Genitori e sorella, che lo amano, rappresentano per Nico un mondo protettivo e sicuro.                               

E così è per il genere umano, e così è per ogni evento della vita che incontra le persone, aggressivo per alcune ed innocuo per altre, passando oltre per misteriosi motivi.

Il mondo occidentale (Europa, Stati Uniti, ecc.) in gran parte dimentico della fede nel Dio dell’amore – archiviata la “fede” vista come fatto puramente irrazionale da respingere – altro non può che affidarsi alla scienza. Capita, allora,  che la “fede” uscita dalla porta del cuore rientri dalla finestra, come moto dell’anima totalmente irrazionale e privo di contenuti etici e morali. In tal modo tanta nostra umanità si trova ad affidare alla scienza una fede che non può e non vuole sostenere. Per la stessa ragione tanta umanità presta “inspiegabilmente” credenza piena e fiduciosa in teorie del complotto, diffuse da uomini politici abili e spregiudicati che le utilizzano per creare in tal modo confusione e divisione a fini di potere. Terribile sarebbe se tutto ciò conducesse ad un vicolo cieco (fino alla guerra come nel secolo scorso?).

L’antropologo Bruno Latour nel suo libro “La sfida di Gaia” a pag. 78, scrive: “….ricordare quanto siamo tutti mal equipaggiati – a livello affettivo, intellettuale, morale, politico, culturale – e impreparati ad accogliere simili notizie….”, frase che riporto anche se usata in tutt’altro contesto ma ugualmente efficace in questo.

Ricordavo sopra le diverse modalità con le quali incontriamo gli eventi della vita. E’ passato un anno dall’inizio della pandemia e ne sappiamo molto di più. Sappiamo che spesso le persone più fragili muoiono e le più forti superano senza danno la malattia. Questo ha determinato comportamenti differenti da parte dei giovani e delle fasce protette – o che si ritengono tali – della popolazione: i giovani certi di uscire indenni dalla malattia e le fasce protette della popolazione illuse di poter contare in caso di contagio su cure più appropriate (forse pensano: “ci sarà pure, in caso di bisogno, una telefonata in ospedale da parte di un medico amico, di un politico influente o…. del vescovo, insomma di qualcuno che, in qualche misura, conti!”). Tutti costoro sono portati, quindi, ad un atteggiamento spavaldo di fronte alla malattia.

Per chi si professa cristiano non dovrebbero esserci dubbi nell’ascoltare ed applicare con scrupoloso zelo le parole delle autorità civili e della scienza, pur vedendone tutti i limiti come ogni fatto umano, non chiedendo a quelle parole certezze che non possono dare e non confidando da persone libere su fragili illusioni e privilegi di censo.             

Chi, credente o non, segue l’insegnamento di Gesù Vi do un nuovo comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34-35) sperimenta in esso l’ “equipaggiamento aggiuntivo” nel cammino della vita al posto dei precari ripari costituiti da atteggiamenti spavaldi o da privilegi negati ad altri. Quell’insegnamento che, pur conservandoci adulti, può farci sentire un poco come i più piccoli che, se amati, neppure si accorgono di quanto accaduto in questo tormentato periodo.

Giuseppe Leone

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