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Curato D'Ars 2 vaticannews.va

Seconda parte: Così parlò ……..Santo Curato d’Ars.

Di seguito la seconda parte dell’omelia “la maldicenza” del S. Curato d’Ars.

……….

Anzitutto vorrei avvertirvi che non si deve credere facilmente al male che si dice degli altri, e, se capita che una persona, accusata, non si difenda, non si deve affatto credere che, per questo, ciò che si va dicendo sia vero.
Eccovi un esempio che vi dimostrerà che possiamo sbagliarci tutti, e che dobbiamo molto difficilmente credere al male che ci viene riferito sugli altri.

Si racconta che un vedovo, che aveva una figlia unica molto giovane, la affidò a uno dei parenti e andò a farsi religioso in un monastero di solitari.

La sua virtù lo rese amabile da parte di tutti gli altri religiosi.

Da parte sua, egli era molto contento della sua vocazione, ma qualche tempo dopo, pensando a sua figlia, la tenerezza che nutrì per la ragazza, lo riempì di dolore e di tristezza per averla abbandonata così.

Il padre abate se ne accorse e un giorno gli disse: “Fratello mio, cos’è che ti affligge tanto?” – “Ahimè! padre mio, gli rispose il solitario, ho lasciato in città una ragazza molto giovane: è questo il motivo della mia pena”.
L’abate, non avendo compreso che si trattava di una figlia, ma credendo che fosse un figlio maschio, gli disse: “Vai a cercarlo e portalo qui, così lo farai crescere in mezzo a noi”.

Subito quello partì, considerando il comando come se fosse una voce dal cielo, e, trovata la figlia, ancora piccola, che si chiamava Marina, le disse di prendere il nome di Marino, le raccomandò di non rivelare mai di essere una donna, e la condusse in monastero.

Il padre si adoperò talmente per mostrarle la necessità della perfezione, dopo che aveva lasciato il mondo per donarsi a Dio,che, in poco tempo, ella divenne un modello di virtù, anche per i religiosi più anziani, pur essendo, lei, così giovane.
Prima di morire, suo padre le raccomandò fortemente di nuovo, di non rivelare mai la sua vera identità.

Marina aveva appena diciassette anni, allorchè il padre la lasciò. Tutti i religiosi, la chiamavano Marino.

La sua umiltà profonda e la virtù non comune, la fecero amare e rispettare da tutti i religiosi.

Ma il demonio, geloso perché la vedeva camminare tanto rapidamente nella via della virtù, o piuttosto, volendo Dio metterla alla prova, permise che fosse calunniata nel modo più abietto.

Le sarebbe stato molto facile dimostrare la sua innocenza, ma ella non volle farlo.
Capite, così, che una persona che ama veramente Dio, considera tutto ciò che Dio permette che accada, persino la maldicenza e la calunnia, come un dono per il suo maggior bene.

I fratelli del monastero, erano soliti, certi giorni della settimana, andare al mercato a fare provvista, e quel fratello (Marino) li accompagnava. Il padrone dell’osteria, aveva una figlia che aveva peccato miseramente con un soldato. Essendosi accorto che era incinta, volle sapere da lei chi l’aveva disonorata.

Questa figlia, piena di malizia, si inventò la più oscena maldicenza e la più terribile calunnia, e disse a suo padre che era stato il monaco Marino che l’aveva sedotta, e che era caduta nel peccato insieme a lui.
Il padre, pieno di furore, venne a fare le sue rimostranze all’abate, il quale rimase molto stupito che il monaco Marino avesse potuto fare una simile cosa, proprio lui che era ritenuto un grande santo.

Allora il padre abate mandò a chiamare fratel Marino alla sua presenza e gli chiese che cosa mai avesse combinato, che razza di vita avesse condotto finora, e se si rendesse conto quale vergogna fosse per un religioso!

Il povero fratel Marino, elevando a Dio il suo cuore, pensava a che cosa dovesse rispondere, e allora, piuttosto che diffamare quella ragazza impudica, si accontentò di rispondere così: “Sono un povero peccatore, che merita di fare penitenza”.

L’abate non indagò oltre, e credendolo colpevole del crimine di cui veniva accusato, lo castigò aspramente e lo cacciò dal monastero.

E questa povera figlia, simile a Gesù Cristo, ricevette i colpi e l’affronto, senza aprire bocca per lamentarsi né per fare riconoscere la sua innocenza, lei che avrebbe potuto dimostrarla con tanta facilità. Ella restò per tre anni alla porta del monastero, guardata da tutti i religiosi come un’infame. Quando i religiosi passavano, si prostrava davanti a loro per chiedere l’aiuto delle loro preghiere e un piccolo pezzo di pane, per non morire di fame.

La ragazza dell’osteria, avendo partorito, custodì per qualche tempo il bambino, ma poi, quando fu svezzato, lo inviò a fratel Marino, come se ne fosse il padre.

Egli, senza manifestare per nulla la sua innocenza, lo accolse come se fosse suo figlio, e lo nutrì per due anni, condividendo con lui le poche elemosine che riceveva.
Gli altri religiosi, commossi da tanta umiltà, andarono a pregare l’abate di avere pietà di fratel Marino, osservando che da cinque anni faceva penitenza alla porta del monastero, e che bisognava accoglierlo e perdonarlo per amore di Gesù Cristo.

Il padre abate, avendolo fatto venire, gli rivolse aspri rimproveri: “Tuo padre era un santo, gli dice l’abate, ti fece entrare qui dalla tua infanzia, e tu hai avuto la sfrontatezza di disonorare questo luogo col più detestabile dei crimini. Tuttavia, ti concedo di entrare in questa casa con questo bambino, del quale tu sei l’indegno padre, e ti condanno, come espiazione del tuo peccato, ai servizi più vili e più bassi verso tutti gli altri fratelli”.

Il povero fratel Marino, senza dire una sola parola di lamento, si sottomise a tutti, sempre contento e sempre deciso a non dire nulla per far conoscere la sua completa innocenza. Questo nuovo lavoro, che a mala pena avrebbe potuto sostenere un uomo robusto, non lo scoraggiò affatto.

Tuttavia, di lì a poco, schiacciato dalla fatica del lavoro e dall’austerità dei digiuni, soccombette, e, pochi giorni dopo, morì.

L’abate ordinò, secondo carità, che gli fossero tributati gli uffici, come a ogni altro religioso; ma per stigmatizzare al massimo il vizio dell’impurità, lo fece seppellire lontano dal monastero, perché al più presto venisse dimenticato.

Ma Dio volle che si riconoscesse la sua innocenza, che ella (Marina=fratel

Marino) aveva tenuta nascosta per sì lungo tempo.

Avendo i fratelli scoperto che era una donna, si misero a gridare, percuotendosi il petto: “Dio mio, come ha potuto, questa santa figlia, soffrire con tanta pazienza tante ingiurie e afflizioni, senza lamentarsi, quando invece le sarebbe stato tanto facile discolparsi?”

Allora corrono dal padre abate, urlando con forza e spandendo lacrime in abbondanza: “Venite, padre mio, gli dissero, venite a vedere fratel Marino”.
L’abate, meravigliato per queste grida e per queste lacrime, corre verso questa povera figlia innocente. Egli fu assalito da un così vivo dolore, che si inginocchiò, battendo la fronte per terra e versando torrenti di lacrime.
Allora tutti insieme, lui e i suoi religiosi, cominciarono a gridare, desolati: “O santa e innocente figlia, ti scongiuro, per la misericordia di Gesù Cristo, di perdonarmi tutte le pene e gli ingiusti rimproveri che ti ho fatti! Ahimè! urlava l’abate, ero nell’ignoranza; tu hai avuto tanta pazienza per accettare tutto, mentre io troppo poca luce per riconoscere la santità della tua vita”.

Avendo fatto riporre il corpo di questa santa donna nella cappella del monastero, portarono la notizia al padre della ragazza che aveva accusato fratel Marino.

Questa povera disgraziata, che aveva falsamente accusato il santo fratello Marino, dopo il peccato era rimasta posseduta dal demonio. Ella venne, disperata, ai piedi della santa (Marina), per confessare il suo crimine, domandandole perdono. E subito, per sua intercessione, fu liberata dal demonio.

Vedete, fratelli miei, quanto la calunnia e la maldicenza fanno soffrire dei poveri innocenti! Quante povere persone, anche nel mondo,vengono accusate falsamente, ma nel giorno del giudizio, riconosceremo essere innocenti.
Tuttavia, coloro che sono accusati in questo modo, devono riconoscere che è Dio che lo permette, e che la cosa migliore per loro, è quella di rimettere la loro innocenza nelle mani di Dio, e di non tormentarsi perché la loro reputazione ne può risentire; quasi tutti i santi hanno fatto così.
Vedete ancora san Francesco di Sales, che fu accusato davanti a un gran numero di persone, di aver fatto uccidere un uomo, per convivere con sua moglie.
Il santo lasciò tutto nelle mani di Dio, e non si preoccupò per nulla della sua reputazione. A coloro che gli consigliavano di difenderla (la reputazione), rispondeva che lasciava a Colui che aveva permesso che fosse infamata, il compito di ristabilirla, quando lo avesse ritenuto opportuno.

Siccome la calunnia è qualcosa che ferisce la sensibilità, Dio permette che quasi tutti i santi siano calunniati.

Credo che la scelta migliore che possiamo fare in questi casi, sia quella di non dire niente, di chiedere al buon Dio di poter soffrire tutto ciò per amor suo, e di pregare per coloro che ci calunniano.

D’altro canto, Dio permette questo solo a coloro sui quali la sua misericordia nutre grandi aspettative.

Se una persona è calunniata, significa che Dio ha deciso di farla giungere a grande perfezione. Dobbiamo piangere su coloro che oscurano la nostra reputazione, e rallegrarci per noi stessi, perché stiamo accumulando grandi tesori nel cielo.

………………

segue

Jean-Marie Baptiste Vianney ( italianizzato in Giovanni Maria Battista Vianney; Dardilly, 8 maggio 1786- Ars-sur-Formans, 4 agosto 1859) è stato un presbitero francese, reso famoso col titolo di Curato d’Ars (o Santo Curato d’Ars) per la sua intensa attività di parroco in questo piccolo villaggio dell’Ain.

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